lunedì 21 ottobre 2013

Il piccolo principe (storia e riflessioni di una lettrice)

Da bambina odiavo la lettura. Ero una di quelle bambine che leggono al massimo qualche fumetto, preferiscono i cartoni e trovano i libri qualcosa di immensamente noioso. 
Alle medie avvenne l'inevitabile: la professoressa ci dava da leggere un libro al mese più o meno e da farci una scheda riassuntiva. Io che odiavo leggere mi trovai a doverlo fare mensilmente con un libro di mia scelta. Già allora amavo il fantasy e non volevo proprio saperne di leggere altra roba, men che meno libri realistici e deprimenti come (e lo dico con tutto il rispetto trattandosi di una testimonianza) il diario di Anna Frank. Allora ripiegai sull'unica cosa  disponibile che rientrava vagamente nel mio genere: i libricini di piccoli brividi. Ogni tanto erano intervallati da qualche altro libro fantasy che trovavo fortunatamente in giro, ma che troppo spesso risultava noioso e poco accattivante.
Dopo tre anni di medie passate a leggere forzatamente, nell'estate della terza media che mi separava dalle superiori accadde una cosa che mi lasciò perplessa: mi mancava leggere. Così feci l'unica cosa che potevo fare: comprai dei libri. Quello era l'anno in cui andava di moda Nefer (una palla gigantesca), ma fortunatamente comprai anche Harry Potter che mi conquistò totalmente. Continuai a leggere quella saga, intervallata da altri libri. Non avendo letto da piccola ero molto curiosa di tutti quei libri che di solito si leggono da ragazzi. Fu così che mi ritrovai a leggere "Le avventure di Tom Sowers", "Le favole dei fratelli Grimm" e "Il piccolo principe".
La prima volta che presi in mano il minuscolo volume illustrato del piccolo principe ero convinta di trovarmi
davanti a una semplice favola, ma quando iniziai a leggere mi resi conto che non era proprio così. Per chi ha letto il piccolo principe sa già che leggerlo da bambino o da adolescente fa un enorme differenza. Per un bambino la storia è solo una favola, non troppo coinvolgente, ma carina. Per un adolescente e anche per un adulto leggere questo libro vuol dire leggere un insieme di metafore, allegorie e piccole verità che ai bambini appaiono ovvie e che crescendo si dimenticano.
"Il piccolo principe" è, come scrisse una volta la Kenyon, un libro che parla di grandi speranze, di coraggio e di sogni.
In giro su internet si trovano citazioni di ogni genere di questo libro. Le più riguardano la parte della storia in cui il piccolo principe incontra la volpe, la quale fa notare più volte che gli uomini hanno da tempo dimenticato come si fa ad "addomesticare" qualcuno, come cioè si crea un legame vero con una persona. Legarsi veramente a qualcuno richiede tempo e questo in quest'epoca in cui tutto si muove troppo velocemente per essere afferrato o trattenuto, in cui persino le cose che contano si tenta di farle il più in fretta possibile senza veramente gustarsi niente, appare quasi impossibile. Il tempo per legarsi a qualcuno, per farlo veramente, senza fretta, per conoscere davvero e per amare davvero, anche con la consapevolezza che quel legame potrebbe non durare a lungo. Questo tempo sono poche le persone che se lo prendono oggi. Alcune hanno troppa paura di soffrire, altre sfiorando la superficie di chi hanno attorno e credono di aver creato in questo modo un legame quando quello che hanno è solo un sottilissimo filo che continua a rompersi ogni volta che viene tirato anche solo un po'. Le più ostinate continuano a tentare di riannodarlo a  fatica, illudendosi forse che nodo dopo nodo possa ispessirsi.
"Il piccolo principe" è anche un libro che sprona ad avere coraggio, a non farsi fare affossare dai propri insuccessi, ma ad avere il coraggio di rialzarsi e di provarci ancora una volta; è un libro che sprona ad avere fiducia, a non abbandonare la speranza, ad inseguire i propri sogni... 
Il tutto raccontato sotto forma di una semplice favola per bambini...


Una piccola nota a parte riguardante questo libro: Claudio Risè, nel suo libro "Maschio amante felice", fa notare che il piccolo principe è di fatto una perfetta allegoria dell'Eterno Fanciullo, un archetipo, dice Risè, che sbarra la strada al diventare uomini. In effetti il piccolo principe lascia ancora ragazzino la Terra, per tornare nel suo pianeta, dalla sua piccola e fragile rosa, "un altro fanciullo che non diventerà mai uomo" (p. 18).

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